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Regimen Sanitatis – pesce e carne nel Medioevo – ( parte tre )

Nei precedenti articoli abbiamo introdotto il Trattato Regimen Sanitatis di Maino de’ Maineri ( parte 1 e parte 2 )

In questi due contributi abbiamo evidenziato l’approccio scientifico di Maineri nel sezionare e dosare ogni singolo ingrediente, con una dedizione simile più al metodo scientifico galileano che all’alchemico. Continuiamo, adesso, a trattare di altre ricette e materie prima che ci conducono, direttamente, al Medioevo

Carne e Pesce

Una medesima formulazione delle norme dietetiche attenta alla natura degli ingredienti e alla loro preparazione concerne prescrizioni più complesse, che non richiedono soltanto la cottura della carne e l’abbinamento di questa con una salsa, ma presuppongono una precisa elaborazione del cibo. E il caso della “pastillatura”, una preparazione mediante la quale la carne viene racchiusa in un sottile impasto di farina, che prevede una cottura paragonabile a quella odierna al forno, atta a moderare l’“umidità” delle carni, anche se in misura minore rispetto all’arrostitura.

Magnino consiglia di preparare questa “pastella” con carni bovine e porcine assieme, e condirla con spezie dolci (molto “calde” e “secche”), agresto, formaggio “butiroso” in estate; in inverno con cipolla bianca, polvere di spezie forti, e agresto. Oppure, suggerisce una “pastillatura” ex carnis subtilioribus: in tal caso, la ricetta prevede una “pastilla” di carni “sottili”, con latte di mandorle, agresto, polvere di spezie dolci e uovo con agresto, per la stagione estiva; vino e più spezie in aggiunta, in inverno.  Sono forse pietanze originarie dell’Italia del Nord, o comunemente consumate in tali zone nel Medioevo. Un’altra salsa di rilievo nel ricettario del medico milanese è la salsa camelina, costituita da zenzero e cannella, citata soprattutto nei libri di cucina di area francese.

Nel Regimen essa è consigliata in abbinamento all’arrostitura di coniglio e di pollo ed è composta di acqua e cinnamomo; può essere resa più densa aggiungendo molliche di pane, con agresto in estate e vino in inverno. Si tratta di una salsa “calda” e “secca”, essendo il cinnamomo (suo ingrediente principale) “caldo” e “secco” al terzo grado.

Fra gli altri volatili, tre ricette sono riservate al cappone (gallo castrato da giovane) e alle galline. Una di esse prevede come cottura la lessatura, atta a conservare la natura “calda” e “umida” di queste carni. Secondo tale ricetta, il condimento prevede come liquido-base l’acqua (“calda” e “umida”) della stessa carne, con l’aggiunta di altra acqua, il tutto mescolato a croco e succo di vite in estate; oppure, a polvere di spezie dolci (“calde” e “secche”), salvia, issopo, prezzemolo, in inverno. Diversamente, se si fa una “pastillatura” (ossia la carne racchiusa in un sottile impasto) di cappone e gallina entrambi grassi, è bene condirla semplicemente con un po’ di polvere di spezie, a cui conviene aggiungere agresto in estate, vino in inverno.Una salsa invernale, da impiegare con il cappone e la gallina arrosto, è Valba allea bullita; oppure, può essere sufficiente un condimento a base di vino con polvere di buone spezie, specialmente vino dolce. In estate Magnino suggerisce l’uso di vino “debole” (chiaro) o agresto, con una quantità di polvere di spezie inferiore rispetto a quella utilizzata in inverno.

Tali ricette rivelano la costante attenzione al “giusto sapore” ricercato dall’autore per ogni vivanda, e risponde alla convinzione secondo cui esigenze dietetiche e piacere gastronomico sono essenziali nella dieta alimentare. Si tratta di una cucina “magra”, tipica dell’epoca medievale in cui i grassi, quali l’olio e il burro, non compaiono nella composizione delle salse, costituite generalmente da vino in inverno, aceto in estate e inverno, agresto in estate.

A tali elementi si aggiungono erbe o spezie, fra cui, per esempio, zenzero, zafferano, pepe, prezzemolo. Spesso, per rendere il condimento più denso, Magnino suggerisce l’impiego di pane arrostito, mandorle, rosso d’uovo; inversamente, consiglia l’uso del brodo di carne, per renderlo più diluito

regimen sanitatis

Un cuoco … uno scienziato

Salse e condimenti dei pesci

Sin dall’Antichità l’attenzione accordata ai pesci nelle opere di carattere enciclopedico-naturalistico investe anche le loro virtù terapeutiche: basti pensare alla Naturalis Historia di Plinio o ai Collectanea rerum memorabilium di Solino.

Tale patrimonio di nozioni si trasmette all’alto Medioevo tramite la mediazione di autori quali Isidoro di Siviglia (metà VI-metà VII secolo) e Rabano Mauro (fine VIII-inizio IX secolo), che nei loro trattati integrano le conoscenze antiche con passi ispirati alle sacre Scritture e ai santi Padri. In ambito più prettamente dietetico-culinario, il medico greco Antimo (VI secolo) dedica alcuni paragrafi della sua epistola De observatione ciborum all’elencazione dei tipi di pesce considerati “buoni” in una corretta dieta alimentare; di essi l’autore indica i condimenti e le cotture più adatti a seconda della qualità del pesce connessa all’habitat originario dell’animale (mare, fiume, stagno, etc.). Nel XII secolo Ildegarda di Bingen illustra nel quinto libro della sua Physica la varietà di pesci da lei conosciuta, ne classifica la qualità in base all’ambiente di provenienza e ne descrive le proprietà terapeutiche. Si tratta di opinioni connesse “ad una solida tradizione, nella quale nel corso dell’XI secolo, per la mediazione di Costantino Africano, erano confluite nozioni greco-arabe”. Tali nozioni medico-naturalistiche si ritrovano nei regimina sanitatis medievali soprattutto per quanto riguarda gli aspetti curativi.

Nel trattato di Maino de’ Maineri le pietanze a base di pesce rivestono un’importanza non irrilevante, tanto è vero che all’interno del capitolo XX riguardante le salse e i condimenti un intero paragrafo è dedicato alle salse per accompagnare i pesci: De saporibus et condimentis piscium.  I tipi di pesce menzionati dall’autore provengono da ambiente marino e fluviale. La sua attenzione è rivolta principalmente alla diversa qualità che si riscontra nei pesci d’acqua dolce e in quelli marini, questi ultimi migliori dei primi perché la loro carne è meno carica di “superfluità”, meno “flemmatica” e più vicina alla natura di quella dei quadrupedi. Rispetto ai pesci d’acqua dolce, quelli marini sono più difficili da digerire. Per entrambi occorre scegliere quelli freschi, la cui carne “non est viscosa sed frangibilis, non multum grossa sed subtilis, non gravis odoris sed suavis”. Un altro fattore non trascurabile è l’igiene dei luoghi di provenienza dei pesci; sono da evitare quelli che abitano laghi, stagni, acque sordide; l’habitat ottimale è rappresentato da mari profondi, caratterizzati dal continuo ricambio di acque, nei quali si gettano molti affluenti. Del tutto sconsigliati sono i pesci che vivono nei mari morti, in quelli meridionali, meno mossi di quelli settentrionali, perciò meno salubri. Oltre al luogo di provenienza, fondamentali sono le qualità intrinseche di questi animali. Spesso, la loro natura “umida” e “fredda” richiede l’impiego di salse “calde” e “secche”, e quanto “sunt grossioris carnis et difficilioris digestionis et plurium superfluitatum et humidioris nature tantum indigent saporibus calidioribus et acutioribus”. Tale regola vale soprattutto per i pesci “bestiali”, a causa della “grossezza” (eccesso di grasso) della loro carne. Fra essi, per esempio, il porcus marinus richiede l’impiego della piperata nigra bullita, salsa i cui ingredienti sono di natura molto “calda” e “secca”: pepe nero, chiodi di garofano, pane arrostito imbevuto in aceto, il tutto stemperato nel brodo del pesce stesso.

La funzione essenziale di tale brodo consiste, grazie alla sua natura “umida”, nel temperare la “secchezza” del pepe e dei chiodi di garofano. Rispetto alla piperata suggerita per le carni, la piperata nigra bullita risulta più forte e “acuta” grazie alla presenza dei chiodi di garofano (non previsti per la carne), adatti a limitare gli eccessi di “umidità” e la natura “fredda” del porcus marinus. L’anguilla, la murena e la lampreda, di natura simile a quella del porco marino, “requirunt pro sapore galentinam ex fortibus speciebus”, una miscela di tre spezie molto “calde” e “secche”, cinnamomo, galanga e chiodi di garofano, unitamente a vino e al brodo (caldo, temperato in “umidità”) in cui viene cotto il pesce. È una salsa da consumarsi fredda qualche giorno dopo la sua preparazione, oppure da impiegare per la conservazione del pesce.

Talvolta, l’anguilla e la murena (ma anche il congro) vengono arrostite, e allora “sapor conveniens est salsa viridis cum fortibus speciebus et vino in hyeme et cum debilibus speciebus et agresta et aceto in estate”.106 Come nel caso delle carni, la salsa verde è composta di prezzemolo, rosmarino, pane arrostito, zenzero bianco, uova e chiodi di garofano. La funzione di questa salsa, al pari delle altre, è quella di rendere il pesce più “caldo” e “secco” di quanto sia al naturale. A proposito della triglia rossa e del pesce cappone, ritenuti i migliori fra i pesci d’acqua salata, Magnino prescrive due salse semplici e leggere, il cui impiego dipende dal tipo di cottura: se si sceglie la lessatura è bene usare la salsa camelina, moderatamente “calda” e “secca”, a base di aceto e cinnamomo, con agresto in estate; vino temperato, in inverno.108 Diversamente, l’arrostitura e la frittura prevedono l’uso della salsa verde, in inverno con aceto, vino e spezie; in estate si suggerisce un aroma più delicato con agresto e aceto. Oppure, con l’arrostitura l’autore consiglia una salsa utilizzata in area francese (“apud gallicos usitata”), non eccessivamente “secca”: essa è costituita da zenzero bianco, stemperato nel vino, con il quale, a sua volta, il pesce arrostito viene inumidito. Tale preparazione è adatta per l’inverno; per l’estate, in luogo del vino, conviene impiegare agresto e, in minore quantità, zenzero. La salsa verde è indicata anche per la frittura dei pesci piccoli d’acqua dolce, generalmente meno “freddi” e “secchi” degli altri; se bolliti in acqua, conviene un condimento a base di senape o di eruca e cipolla bianca cotta con gli stessi. Riguardo al luccio e al barbello, la loro bollitura esige l’impiego della salsa verde; la frittura e l’arrostitura richiedono l’uso di vino o agresto, come liquido-base, nel quale stemperare zenzero bianco bollito. Il tutto viene servito sul pesce cotto (arrostito o fritto) e serve per inumidirli  “ Ciò che è buono fa bene alla salute” Il Regimen Sanitatis di Magnino rientra nell’ambito di una trattatistica tardo-medievale che affonda le radici nella medicina antica.

Assunto fondamentale di tale scienza è l’idea che ciascuno debba mangiare secondo le proprie caratteristiche fisiologiche, ossia secondo la “complessione umorale”, l’età e il sesso che lo contraddistinguono. Di non minore importanza sono i fattori esterni quali il clima, l’habitat naturale e il tenore di vita, che influiscono sullo stato di salute e sulla qualità di vita dell’individuo. Se nella manualistica antica l’insieme di questi elementi riguarda l’uomo tout court (privo di qualsiasi accezione particolare), all’epoca in cui scrive Magnino (anni trenta del ’300) l’atto di mangiare secondo la “qualità della persona” ha assunto un significato sociale e culturale. A ogni ceto, conformemente alla posizione che riveste nella gerarchia sociale, corrisponde un determinato cibo. Più l’individuo appartiene a un rango elevato, più gli alimenti che mangia devono essere raffinati; più l’individuo appartiene agli strati inferiori della società, più è adatto un cibo grossolano e comune. Una siffatta gerarchizzazione dei cibi non è presente in Maino de’ Maineri che, in conformità con la concezione degli antichi, distingue i gruppi di individui secondo la loro “complessione umorale”, l’età, la stagione, la capacità di interazione con l’ambiente. Forse alcune di tali ricette sono il frutto dell’osservazione personale dell’autore, come certi usi che Magnino definisce francesi (“apud gallicos usitati”), quale è il caso della salsa abbinata alla triglia e al cappone. Anche per altre ricette vi sono riferimenti a pratiche comuni in determinate zone geografiche. Per esempio, la salsa camelina (composta di zenzero e cannella), spesso citata nel Regimen, è molto diffusa in area francese, come lasciano supporre le ricorrenze di questa salsa nei libri di cucina francesi coevi all’opera del medico milanese.

Ancora, l’impiego della “pastella” o “pastillatura” quale involucro di pasta che riveste la carne pare sia un’usanza in voga negli stessi secoli nell’Italia del Nord. Dunque, si tratta di ricette che nella maggior parte dei casi fanno riferimento a due aree geografiche ben definite, Parigi e il regno di Francia da un lato, Milano e la Lombardia dall’altro. Il carattere “sperimentale” del Regimen non è soltanto connesso alla volontà dell’autore di prediligere gli aspetti concreti piuttosto che quelli teorici. L’intervento sui cibi rinvia anche, e soprattutto, a preoccupazioni di natura igienica, di derivazione ippocratica, secondo le quali nessun alimento in natura è equilibrato e la salute dell’individuo dipende dalla capacità di costruire un’alimentazione bilanciata.

Manipolare e preparare i cibi affinché assicurino il mantenimento della salute, o quantomeno non la danneggino, e siano nel contempo piacevoli al gusto sono esigenze primarie nella concezione del “medico-cuoco” Maino de’ Maineri. In tal senso, gastronomia e dietetica sono due aspetti complementari di un medesimo sapere legato al principio secondo cui “ciò che è buono fa bene alla salute”. Si tratta di regole ampiamente condivise nei trattati di dietetica e nei libri di cucina del tardo Medioevo, caratterizzati da un medesimo linguaggio che registra l’esperienza del mondo sensibile e suddivide i cibi nelle categorie sensoriali caldo/freddo, secco/umido. Soltanto a partire dai secoli XVII-XVIII scienza dietetica e arte gastronomica cominceranno a distinguersi nettamente, la prima utilizzando un linguaggio nuovo, basato non più sull’osservazione fisica ma sull’analisi chimica. Nelle opere del medico milanese le ricette che maggiormente incarnano l’idea di una scienza della vita sana, concepita nei due suoi aspetti fondamentali, arte della cucina e sapere medico, sono quelle relative alle salse. Se nell’Opusculum de saporibus esse compaiono con una funzione prevalentemente correttiva dei cibi, nel Regimen tale funzione viene, in modo più deciso, accostata a quella culinaria.

L’intervento sui cibi non risponde a un valore riduttivo di “dieta” quale essa è intesa comunemente oggi; come nella tradizione antica, anche in quella medievale permane una nozione più ampia del termine. Tuttavia, se nella dietetica classica il termine diaeta si identificava con un regime di vita, comprendente la nutrizione, l’attività fisica (e intellettuale) e l’igiene corporea, nei trattati medievali notevole spazio (fra le “res non naturales”) viene accordato all’alimentazione quale strumento privilegiato ai fini del mantenimento o ristabilimento della salute. Nel Regimen di Maino de’ Maineri, come in molti regimina dei secoli XIII-XIV, l’accezione di diaeta si restringe in favore del cibus et potus (a scapito delle altre “res non naturales”) rientrando nell’ambito della “costruzione di una cultura gastronomica” propria di quell’universalismo medievale che investe sia cucina che dietetica

Vi aspettiamo al prossimo articolo !!!

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